sabato 31 luglio 2010

N°2

Il mare. Mi son lasciata trascinare via dalla corrente mentre il cielo esplodeva di lapilli astronomici.
Il cielo ci raccontava mentre il mare provvedeva a sciacquarmi via di dosso le incertezze donandomi una pelle tutta nuova. L'isola era una tazza di caffè che emanava l'odore agrodolce del pino marittimo e dei primi forni stanchi che iniziavano ad aprire. La mia anima aveva il dolce tepore della pienezza; la profonda consapevolezza di un amore scoppiettante come una fiammella alla base del cuore e una voglia ossessiva di lasciarsi, dopo tanti anni, il passato alle spalle e ricominciare. Così mi spogliai della mia vecchia pelle e la lasciai galleggiare sulla quieta superficie marina. Avrebbe saputo il mare, con la sua comprensione arrogante, cosa farne.
C'era il vento e c'era il pensiero e il filo invisibile, il cordone ombelicale, che lega l'uno all'altro. Il tempo passava in fretta nello spicchio d'universo che mi ero creata, immobile tra ill ricordo e il desiderio. Non veder mai più una persona e sentire la sua voce parlarti piano e il suo fiato sfiorarti tra la folla. Basta un profumo e si rievocano ricordi inaspettati e vividi come il calore cocente del mezzogiorno. Ho vissuto per mesi nella placida attesa, mi son sentita un prigioniero di guerra messo a bollire in pentola, alimentata dal fuoco della rabbia e del rifiuto, condita dalla sofferenza più piena, sferica, perfetta e indistruttibile. Intorno a me solo cupi muri di stagno, qualsiasi avvenimento un efimero vento estivo. La primavera sembrava non arrivare mai, il gelo invernale consumava le mie ossa e mangiava le mie speranze. Gli occhi, uno specchio ghiacciato fisso sul cielo. Nessuna fonte di calore, se non il confuso ronzio dell'annullazione dell'io.
Le sue labbra tornavano ad accarezzarmi durante le infinite notti insonni. Cambiavo letto, ma l'insonnia non si semina. Chiudevo gli occhi pensando "domani non ricorderai nulla", e di mattina piangevo perchè era la rinnovata conferma della realtà. La gialla consistenza del corpo inanimato, il freddo disumano della pelle, la cupa sensazione delle mie labbra sulle sue, immobili. Avrei potuto succhiarne fuori l'anima della morte stessa. Me ne sarei imbevuta, per conservarla e comprenderla meglio di quanto già facessi allora. E quegli occhi azzurro cielo fissavano il nulla, così diversi dal ricordo eppure sempre loro. Pensavo che si sarebbe svegliato, m'aspettavo che aprisse gli occhi e mi dicesse "ehi, va tutto bene, non disperarti", ignorando l'obitorio in cui mi trovavo. I morti non resuscitano. Con gli anni ho imparato però che restano sotto altre forme, lanciano messaggi inequivocabili per il nostro inconscio, e che con un po' di accortezza può cogliere anche la nostra mente conscia.
Sono fiumi di parole quello che scrivo, fiumi e laghi provenienti dal mare formato da un terzetto di mente, anima e cuore. Neanche io riesco a dargli un senso, a quello che scrivo. Sono frasi a sè, ogni frase ha il suo racconto. E' come acchiappare farfalle. Ridisegno e tangibilizzo emozioni di cui straripo, il mio povero corpo è un recipiente troppo effimero per riuscire a reggere il peso della Consapevolezza. E' per questo che vomito su queste pagine; svuoto la mia pienezza per lasciare spazio al Nuovo.
Non so neanche quando fermarmi.
E ora devo fuggire, l'isola si sta svegliando.

Ben.

lunedì 14 giugno 2010

N°1

Svegliarsi con a fianco l'uomo che ami. Sentire la liscia morbidità della sua pelle scorrerti sotto i polpastrelli e risalire per il tuo sistema nervoso. Linfa per il mio tronco scarno. La dolcezza del sapore salato della pelle mischiato al sapore di sole contenuto nell'atmosfera mattutina, quando ci si sveglia e c'è già un raggio che timido si permette di intrufolarsi sul tuo corpo e sui tuoi pensieri.
E c'è quella sensazione di sazietà, di sentirsi felici e quasi stanchi dal benessere.
Oggi a differenza di ieri è una giornata numerata, se non per una piccola ma intensa porzione di tre ore di pura arte nelle vene, rimo africano per doparmi. Jembè, un nuovo amore si è fatto prepotentemente ed inevitabilmente spazio nella mia mente. Lo sento nel sangue, il ritmo. Lo sento che affiora e che corre e che balla sulla mia pelle, le mani si muovono da sole, la mente e il resto un'unica entità. Ma tornando ai numeri, oggi mi hanno inseguita su e giù per le scale della mia giornata. Tre ore di scomposizioni senza sosta. E poi di nuovo a correre per raggiungere quei numeri prima che scadesse il tempo. E adesso l'Italia sta anche perdendo 1-0.
I numeri tendono ad infastidirmi a tal punto che mi è venuto mal di pancia.

Me ne vado a dormire, che c'è il quadrante dell'orologio che mi grida che sono le 22:30.
Per sta volta meglio assecondarli.
Stremata, Ben.

domenica 13 giugno 2010

Oggi è un giorno senza numero. E questa sarà una pagina senza numero.
Ma può effettivamente un giorno essere senza numero? E' come chiedersi se un uomo possa vivere senza anima. Fin dal mattino ci svegliamo con un aggeggio che ci spara arrogante in faccia piccoli numeri rossi e quadrati che ci avvisano che il mondo ci sta chiamando quindi, hey, sbrigati, se no arrivi tardi. Siamo codici binari. Numeri a due gambe. Numeri che uccidono altri numeri. Numeri che stanno sopra altri numeri. E così via.
La nostra vita è riassumibile in una serie di numeri. Ho diciassette anni, due occhi verdi, fumo venti sigarette in media ogni giorno, sono alta uno e settantuno, peso cinquantadue chili, ho tre fratelli, sono al terzo anno di liceo e così via. Soltanto numeri.
Ma se per un attimo supponessimo che non sia così, che effettivamente nella nostra vita possa esserci dell'altro oltre che alla fisica e ai numeri e ai codici binari, bhè, allora potrei iniziare a parlare di oggi che è un giorno senza numero. E potrei iniziare a parlare di me, che di matematico non ho nulla. Non sono nè zero nè uno.
Io sono quella macchia di tempere che ha macchiato il parquet di Magritte tanti anni fa. Sono il pigmento di colore che ha trasformato il bianco in rosso e il rosso in giallo. Sono la punta del pennello. Sono tutto ciò di fondamentale a cui nessuno fa mai caso.
Ma torniamo al mio giorno senza numero. Oggi è un giorno senza numero perchè mi sono concessa di dimeticarmi dell'esistenza del tempo. Ho deciso di elevare la mia anima ad uno stato di calma assimilatrice, lontana dall'inquinamento della coscienza e dalla pazzia del cuore.
In base a cosa si può arrivare a comprendere cosa ci rende felici? Probabilmente la mia domanda sarebbe più corretta e più stimolante se fosse "in base a cosa si può arrivare a comprendere cosa ci rende infelici". E se le cose che amiamo rivelassero di essere, nella realtà vera, quella che c'è al di fuori del paraocchi che la gente tende a chiamare amore, ciò che più odiamo? Come rendersi conto di odiare la propria migliore amica o di nutrire un profondo disprezzo nei confronti del tuo prof preferito. La nostra mente lo rifiuterebbe?
Oggi è una giornata senza numero perchè è il raggruppamento del tempo. Ho riscoperto nelle vecchie pagine della mia vita e nei miei vecchi disegni strappati chi sono, ho scoperto passo per passo i miei progressi, la mia mano che è diventata pian piano esperta e la mia mente che nella timida lentezza del fiore è sbocciata e ha compreso cosa le piace realmente al di fuori degli addestramenti. Parlo di addestramenti perchè, senza saperlo, le nostre menti sono addestrate a farci piacere ciò che vogliono farci piacere e a farci disprezzare ciò che vogliono farci disprezzare. E sarà sempre così. E nelle vecchie pagine della mia vita e nei miei vecchi disegni strappati ho riscoperto anche chi sono le persone che ho intorno, ho distinto il seme da cui son nati e le conseguenze che ne comporta. Ho riscoperto il perchè di molte scelte, che da bambina erano scelte da bambina e che adesso mi sembrano più intelligenti. Ho compreso e assimilato il perchè ho scelto di essere una tavolozza di colori confusi, il perchè ho deciso di essere un quadro in bilico tra l'astratto e il classico e nel contempo nessuno dei due.

Ho compreso che un giorno senza numeri può servire a riordinare un'equazione che non veniva.
Spesso, solo perchè si ha sbagliato di segno. Più o meno. E chi sa scegliere?

Buonanotte.
Ben.